I limiti dell’Hellas Verona sono tutto fuorché tecnici: l’allenatore ha colpe, ma non diventi un capro espiatorio
Ancora gol incassati, ancora rimonte subite: tornano i fantasmi dell’ultimo periodo nero dell’Hellas, quello compreso tra gli ultimissimi giorni di settembre e la prima metà di novembre per intenderci, finora il peggior momento stagionale del Verona.
Scriviamo “finora” perché di questo passo la serie di risultati negativi rischia di tornare a ripetersi: il 2019 è infatti iniziato nel peggiore dei modi, con la débâcle di Padova e una vittoria contro il Cosenza che si è quasi inspiegabilmente tramutata in un pareggio.
Sostanzialmente parliamo di una squadra che dovrebbe ammazzare il campionato ma che, in due partite contro squadre a rischio retrocessione, ha portato a casa un solo punto, segnando due gol e incassandone cinque.
DIFESA. La lingua batte dove il dente duole, quindi per forza di cose ci ritroviamo a parlare nuovamente di quel reparto arretrato che continua a non fornire certezze. Sì, perché mentre di solito la causa di tutti i mali di una squadra che subisce troppi gol è la cosiddetta “fase difensiva”, a cui partecipano tutti a partire dagli attaccanti, il problema del Verona sembra essere costituito più propriamente dai difensori. Troppe volte infatti abbiamo visto errori e svarioni individuali costare punti all’Hellas, con la coppia di centrali Dawidowicz–Marrone (a cui potremmo aggiungere l’ormai ex Caracciolo) da tempo finita sotto la lente d’ingrandimento. I due, probabilmente male assortiti, non sono infatti stati in grado di garantire sicurezza davanti a Silvestri, il quale viene costantemente chiamato al miracolo in ogni partita. Nonostante ciò, però, Grosso sembra riporre illimitata fiducia nei due, con buona pace di Empereur e Bianchetti, costretti alla panchina o ad adattarsi in fascia…
NON È UN PROBLEMA DI QUALITÀ… Ciò che stranisce tifosi e addetti ai lavori è l’assoluto livello della rosa, composta da gente esperta della categoria e altri che potrebbero probabilmente giocare in Serie A. Pensiamo ai vari Di Carmine, Laribi, Henderson o allo sfortunatissimo Ragusa, tutti giocatori che in cadetteria dovrebbero spaccare il mondo ma che, invece, hanno finora reso incredibilmente al di sotto delle loro possibilità. E poco importa che la Curva, nonostante tutto, continui a incitare: a dannarsi l’anima sono sempre i soliti 4-5 (leggasi Pazzini, Zaccagni, Lee, Silvestri…), i quali non riescono proprio a “tirar dentro” gli altri.
… MA DI FRAGILITÀ PSICOLOGICA. Il problema, come sottolineato anche da Fabio Grosso nella conferenza post-Cosenza, è proprio di testa: una squadra che all’improvviso “si spegne”, magari subisce un gol e da lì in poi non è più in grado di reagire. Un limite gigantesco per un gruppo che, in condizioni normali, avrebbe tutte le carte in regola per essere saldamente almeno al secondo posto.
GROSSO. Eccola qui la causa principale degli scarsi risultati, almeno secondo quanto dicono tutti. Un allenatore arrivato tra i dubbi della piazza, perplessità che si sono fatte sempre più forti con il passare del tempo. Al tecnico gialloblù vengono infatti imputati confusione tattica, continui cambi di giocatori e scelte quantomeno discutibili, ma anche un atteggiamento che proprio non va andato giù ai tifosi, caratterizzato da nervose e silenziose passeggiate a testa bassa nell’area tecnica e più o meno velate accuse proprio ai supporters gialloblù, “rei” di non riporre fiducia nel gruppo. Affermazioni che lasciano il tempo che trovano e contribuiscono solamente fomentare chi vorrebbe la sua testa su un piatto d’argento.
COSA FARE? Il tempo stringe, e ormai dovrebbe essere ben chiaro a tutti. Adesso o mai più deve arrivare la scossa, e in primis questa deve provenire dai giocatori. Sì, perché Fabio Grosso ha sicuramente le sue colpe (dettate soprattutto dall’inesperienza), ma a scendere in campo sono i calciatori, molti dei quali, a quanto pare, non hanno ancora capito quale maglia stiano indossando.