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Quando Cacia augurò a Jorginho di diventare un grande calciatore

jorginho verona

Jorginho pare davvero a un passo dal Manchester City, e torna in mente una vecchia intervista del 2013

Vinti dall’autocoscienza di aver perso la Serie A, con la fiducia cieca che il Verona tornerà a giocarsi uno dei primi posti per risalire, succede di imbattersi scorrendo i video di YouTube in un intervista dopo la promozione in massima serie della stagione 2012/’13. Il collega veronese di TgGialloblu si ritrova di fronte a un manipolo di ragazzi con il sogno della A, che sono appena riusciti a raggiungerla dopo un’annata di sacrificio e di profondo senso di squadra.

Gomez, Maietta, Rafael, Cacciatore, Cacia e il più giovane di tutti: Jorginho. Mimmo prende in mano il microfono e rivolgendosi al bocia gli chiede, con quel pizzico di nonnismo che non basta mai, di togliersi l’apparecchio davanti alle telecamere. Lui di tutta risposta chiede invece a Maietta di andare a fare un giro dal parrucchiere visto il concio arruffato della sua poco folta chioma.

Chi resterà per la Serie A? Tutti se lo augurano ma ognuno mette le mani avanti. C’è chi ci spera, chi crede di poterlo fare ma si dovrà valutare. Il tutto con aria molto scherzosa. Alla fine se ne esce Daniele Cacia, che imbeccato dalla domanda vuole parlare con affetto di Jorginho. Spera che possa essere comprato da una grande squadra come il Milan e rimanere a Verona un altro anno, per giocare con quella magnifica squadra la Serie A. Gli augura con tutto il cuore di raggiungere successo personale, perché in fondo, forse, tutti i presenti in zona mista sapevano che quel ragazzo sarebbe stato l’unico a riuscirci. Vuoi per motivi anagrafici, vuoi per qualità, ma di quel Verona lui era l’unico che poteva fare davvero qualcosa di straordinario, ammesso che già quella promozione non lo fosse stata.

Il passaggio al Napoli segnò quel salto che Cacia gli aveva augurato, ma non c’era ancora nulla di straordinario in un buon giocatore che lascia la casa dov’è cresciuto per un posto nuovo. Quel che è filosoficamente aggradante è la sua capacità di calarsi nella nuova realtà, superando le difficoltà tattiche che gli vengono imposte da Rafa Benitez e dalla sua tattica, perché con quegli scarsi risultati e con l’incapacità di far rendere un giocatore di quelle qualità non si può parlare di altro se non di imposizione. La cocciutaggine altrui rischia di ridimensionare la sua figura.

Arriva Sarri e arriva Valdifiori, ma anche il nuovo mister non ha dubbi: è Jorginho il playmaker.Il Napoli diventa la seconda miglior squadra italiana degli ultimi anni, e il bocia, ormai cresciuto, vede la Nazionale dei grandi. La vede, non la vede. Ventura, purgatorio. Gioca e perde lo spareggio di San Siro con la Svezia in un clima di vergogna infinita per tutto il calcio italiano.

Non è la sua sconfitta. Certo, gioca e perde il Mondiale, ma le colpe non sono le sue, non certo le sue che di quelle qualificazioni sente praticamente solo parlare. La storia di Jorginho diventa solo azzurra ed è il più grande paradosso della vicenda.

Azzurro come il colore della squadra che ha deciso di prenderlo da casa e provare a metterlo lì nel mezzo, nonostante il fisico mingherlino e il viso ancora giovane. Azzurro come quella Nazionale che non l’ha mai chiamato fino al punto di morte, ma a funerali fatti ora è lui al centro del futuro, in una corsia binaria che scorre verso l’orizzonte ed evita il pensiero che il mezzo del futuro sia già arrivato. Maledetto scorrere del tempo.

C’è l’azzurro infine del Manchester City, squadra che con Pep Guardiola ha cambiato pelle ed è diventata la seconda più bella creatura del tecnico spagnolo, sicuramente più bella della realtà bavarese in cui non è mai riuscito davvero a trasmettere le sue idee di calcio. Azzurro su azzurro che porta Jorginho alla maturità e, per come sembrano mettersi ora le cose, l’ex centrocampista dell’Hellas Verona pare veramente a un passo dal City. Lo dice il suo agente, l’accordo è già stato trovato e bisogna ora attendere solo quello fra Manchester e Napoli. Si va verso un quinquennale, con l’entusiasmo di un ragazzino, una volta, che ora può compiere qualcosa di straordinario. E perché in fondo, se fossimo tutti Jorginho, fra qualche settimana lo faremmo un colpo di telefono al Cacia che credeva in noi, così: per dirgli grazie e sentire un vecchio amico.

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