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Tameze: “Tudor e Juric molto simili. Io duttile? Preferisco fare il centrocampista, anche se…”

Il classe ’94 si è raccontato ai colleghi di RMC Sport durante una lunghissima intervista

È un’intervista davvero lunga quella concessa da Adrien Tameze a RMC Sport: il centrocampista, raggiunto dai colleghi dell’emittente francese, ha infatti rivissuto tutta la propria esperienza italiana, partendo dall’Atalanta e arrivando all’Hellas di Tudor.

Visti i tantissimi punti toccati dal giocatore, vi proporremo la “chiacchierata” in due parti, una dedicata ad argomenti più “generali” e una incentrata sulla stagione corrente.

Di seguito, dunque, la prima metà delle dichiarazioni del calciatore gialloblù.

L’ATALANTA. «Il primo periodo di ambientamento a Bergamo non fu facile perché non parlavo la lingua,  inoltre gli allenamenti, il ritmo, il modo di giocare e il livello di professionalità erano di livello superiore rispetto alla Francia: mi aspettavo un campionato ultra-difensivo, invece ho trovato un calcio molto tattico, preciso e offensivo. A tutto questo si è poi aggiunto anche il Covid. Il mancato riscatto? L’obbligo sarebbe scattato alla tredicesima presenza e arrivai all’ultima di campionato con dodici gettoni, ma Gasperini non mi mandò in campo. L’Atalanta cominciò a trattare con il Nizza che però alla fine mi richiamò dicendomi che servivo là, salvo poi mettermi tra le riserve».

L’ARRIVO ALL’HELLAS. «All’Atalanta avevo scoperto un calcio che mi era piaciuto. Tony D’Amico venne a trovarmi per dirmi che voleva ingaggiarmi, poi Juric lui mi ha parlato delle sue idee, spiegandomi come i principi di gioco del Verona fossero molto simili a quelli dell’Atalanta. Grazie all’esperienza di Bergamo mi dissi che se avessi accettato non sarei ripartito da zero, inoltre ricordavo molto bene quanto l’Hellas fosse stato un avversario ostico da affrontare quando ero a Bergamo».

I DUE ALLENATORI. «Juric e Tudor sono molto simili e mi hanno chiesto le stesse cose: loro vogliono che aiuti la squadra sia in difesa che in attacco, scendendo sulla linea dei difensori per impostare l’azione per poi avanzare e cercare di rendermi pericoloso in avanti. Dicono che in campo io sia ovunque? È merito degli allenatori che ho avuto qui, anche quando sei stanco ti trasmettono grande carica e quindi continui a correre. Anche perché, se non lo fai, ti uccidono! (ride, ndr)».

LE “BIG”. «Le grandi squadre amano avere la palla, ma la nostra filosofia è quella di mettere fretta all’avversario e di impedirgli di riflettere, cercando poi di verticalizzare subito per creare occasioni da gol. Sotto questo aspetto, il nostro sistema di gioco è molto efficiente e quindi spesso con le “big” facciamo bene a prescindere dal risultato».

IL RUOLO. «In questi due anni ho ricoperto diversi ruoli, ma credo che il nostro sistema aiuti molto: giocando uomo su uomo, so che ho un avversario e che devo essere migliore di lui a prescindere dalla posizione in campo. Certo, quando sono in difesa devo muovermi diversamente rispetto a quando gioco più avanti, ma se riesco ad essere efficace in così tanti ruoli lo devo al nostro modo di stare in campo. A me poi è sempre piaciuta la tattica e guardo molte partite, quindi più o meno so cosa un allenatore può richiedere a un calciatore che gioca in una determinata zona di campo. Io comunque preferisco stare in mezzo, anche se ammetto di aver amato la partita in cui ho fatto il “falso nueve”…».

 

Per la seconda parte dell’intervista, clicca QUI

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