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Valentini: “All’inizio c’è stata troppa confusione. E sugli stipendi…”

L’ex direttore generale della FIGC ha detto la sua ai microfoni dei colleghi di CalcioCasteddu

Già responsabile dell’ufficio stampa e relazioni esterne della FIGC e successivamente direttore generale della stessa federazione durante la presidenza di Abete, Antonello Valentini rappresenta una delle figure di spicco del calcio italiano negli ultimi decenni.

Per questo motivo i colleghi di CalcioCasteddu hanno quindi deciso di raggiungerlo per chiedergli un’opinione sull’attuale situazione legata al Coronavirus: di seguito, dunque, le sue principali dichiarazioni.

Come giudica la situazione venutasi a creare a livello organizzativo in Italia, dopo l’insorgenza del Coronavirus? 
«Nella prima fase c’è stato qualche momento di confusione, sottovalutazioni ed errori, sia da parte della Lega Serie A che del Ministero dello Sport.Questo non ha giovato alla percezione immediata del rischio e a decisioni più opportune. Atalanta-Valencia, considerata la “partita zero” per la diffusione dei contagi in quei territori, ha rappresentato una bomba sanitaria. Poi si è creata una bagarre: porte aperte, porte chiuse… Poi finalmente il dramma è stato compreso e, dopo qualche momento di incertezza soprattutto della Serie A, è stata presa una decisione ferma. Perché ho citato solo la Lega Serie A? Sono del parere che Serie B, C e dilettanti siano stati più svegli e reattivi nell’affrontare la questione».

Qual è lo scenario in questo momento?
«Una vera e propria bagarre mediatica, in cui non sono ben chiari i ruoli dei vari protagonisti. Si è equivocato troppo a lungo. Ora ritengo sia necessario richiamare ogni attore al proprio ruolo, sapendo che riguarda tutti, nessuno escluso. La grande sfida che attende il calcio è quella di riuscire a conciliare tre obiettivi principali: la conclusione regolare dei campionati, movimento dilettantistico incluso, visto che costituisce la base della piramide del calcio italiano. Portare a termine la stagione è fondamentale, a costo di sforare in estate, tra recuperi e giornate restanti: viene richiesto uno sforzo maggiore per tutti. Il secondo obiettivo riguarda l’intesa con la UEFA per ottenere una situazione internazionale condivisa, sulla base dell’aspetto sanitario che consenta di completare le coppe europee. Terzo punto, conciliare con le prime due esigenze descritte anche l’attività delle squadre nazionali, dalla maggiore all’Under 15».

Come giudica l’atteggiamento della Federazione?
«La FIGC sta lavorando bene come mediatore tra le esigenze delle varie componenti: ha il dovere di avere tre o quattro piani alternativi da poter tirar fuori in caso di via libera delle autorità sanitarie per la ripresa dell’attività. Il presidente Gravina si è già esposto più volte a favore della conclusione della stagione. Mi auguro in generale uno sforzo comune per la rinascita del calcio. Abbiamo notato come interessi di bottega, furbate, espedienti per tirare acqua al proprio mulino ce ne siano fin troppi: bisogna togliersi la maglia della propria squadra per il bene comune, altrimenti non ne verremo fuori».

Prendendo in considerazione l’aspetto legato alla riduzione degli stipendi, qual è il suo punto di vista?
«Il calcio non può ritenersi un mondo a parte, ma sentirsi piuttosto parte del mondo. In particolare, sviluppi il senso delle proporzioni, ancor di più in questo momento di emergenza umanitaria, economica e sociale. Serve che, a cominciare dai calciatori e dalle figure di vertice, venga dato un contributo proporzionale alle proprie forze. Il sindacato non ha titolarità per imporre tagli agli stipendi, ma piuttosto ogni club deve confrontarsi con i propri dipendenti. L’AIC sta dando ad ogni modo una direzione di marcia. Il fatto che sia saltato il primo incontro Lega Serie A e Assocalciatori non è un buon segnale, ma credo sia dovuto solo alla necessità di avere un po’ più di tempo».

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