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ESCLUSIVA – Di Gennaro: “Segnale forte della Curva. A noi piange il cuore”

Un lungo confronto con una bandiera del Verona, per parlare di presente e di passato. Lui, che ha vestito la maglia viola e quella gialloblù, ci racconta gli intrecci della sua carriera da calciatore e si sfoga sulla brutta situazione dell’Hellas. Un lungo racconto dal cuore di chi conosce bene i tifosi del Verona e che, sulla scia di altri grandi della storia, vuole rileggere a mente lucida quello che sta accadendo, senza però tralasciare alcun particolare. Ma le righe più belle, senza dubbio, sono quelle sul suo passato. Antonio Di Gennaro, regista del Verona dal 1981 al 1988, campione d’Italia nel 1985.

Pochi giorni fa hanno inaugurato un murale sulla storia del Verona. Com’è, da leggenda di questa squadra, vedere queste contestazioni e questi risultati?
“Avevo commentato per Mediaset Verona-Juventus e devo dire che la squadra, per certi versi, è sempre stata in partita. Aveva raggiunto il pareggio, poi ovviamente per due colpi di un campione come Dybala aveva perso la partita, ma si era vista almeno una squadra. Con il Crotone è stato diverso; quando la curva è andata via gli ultimi venti minuti è stato un segnale forte. Un segnale che non può non farti pensare a una situazione che ormai si è deteriorata: perdere 3-0 col Crotone non avendo un’anima e con la curva che va via, insomma, ovviamente per noi che abbiamo fatto la storia è normale che ci pianga il cuore. Ho sentito anche le dichiarazioni di Domenico Volpati e di Nanu Galderisi. Si può tutto, ma quando ti manca l’anima vuol dire che ‘semo alle asse’ come si dice a Verona”.

Di Verona sappiamo tutto, di Firenze un po’ meno. Cosa ti porti nel cuore della tua esperienza viola?
“Di Firenze mi porto tutto. Sono nato lì e ho fatto dodici anni alla Fiorentina. Otto di giovanili, sono arrivato a 10 anni e sono andato via a 22. Da piccolo andavo a vedere tutte le partite con mio padre, poi ho iniziato a 10 anni a mettere la maglia viola. A Firenze ho visto grandi giocatori e all’inizio facevo il raccattapalle: ricordo che De Sisti mi regalò un paio di scarpe, poi ho potuto ammirare il secondo scudetto che avevo ancora 10 anni. Io sono cresciuto sotto l’ala di Antognoni e ho giocato assieme a lui. Firenze rappresenta l’inizio di tutto e, dopo la parentesi di Perugia, è arrivata Verona dove mi sono costruito come uomo. Ho avuto una figlia e un matrimonio, che non è andato bene, ma sono sempre rimasto in ottimi rapporti. Verona rappresenta dunque la parte fondamentale della mia carriera calcistica e anche della mia persona”.

Una valutazione sulla stagione in corso e sulle difficoltà di entrambe le squadre?
“Nemmeno la Fiorentina sta attraversando un bellissimo momento, quest’anno si sono un po’ ridimensionati come progetti. Il Verona invece, anche negli ultimi anni con Mandorlini in Serie A e Serie B, la difesa è sempre stato un problema. I tanti gol presi erano però compensati da una squadra che aveva Toni che faceva venti gol, Iturbe dodici, Rômulo sette, però la difesa è sempre stato il tallone d’Achille negli ultimi quattro o cinque anni. Quest’anno poi non avendo giocatori di qualità sul fronte offensivo è più difficile, perché la parentesi di Pazzini l’hanno gestita forse non contandoci nemmeno perché lo scollamento c’era già alla prima di campionato, c’era forse già la volontà di cedere il calciatore. Quello che ho notato dalla vittoria contro il Milan e anche dalla sconfitta con la Juve, che però è arrivata giocando, è stato un segnale di un Verona in corsa; la sconfitta con il Crotone è invece stata pesante per tanti fattori: ambientale, tifoseria, squadra, allenatore”.

La sconfitta con il Crotone?
“La vittoria con il Milan significava una crescita, come diceva anche lo stesso Pecchia, perché aldilà del risultato si era visto il carattere. Con il Crotone si è invece vista una squadra senz’anima, come se non fosse squadra: non si può perdere così. Va bene 1-0, poi c’è stata l’occasione di Rômulo, ma 3-0. È stato umiliante. Ripeto, se la curva va via a venti minuti dalla fine è successo qualcosa di troppo grosso”.

È proibitiva la partita del Franchi?
“La partita di Firenze è difficile, poi nel calcio può succedere tutto. La squadra è andata in ritiro, che poi questo ritiro può servire fino a un certo punto. Punitivo per cosa? Se manca l’anima non la si acquista in ritiro. Non so il mercato come andrà a finire, servirebbero giocatori di gran livello. Poi nel calcio non si sa come può andare a finire, magari vanno a Firenze e fanno una gran partita. Però la sconfitta di Crotone non vorrei fosse stato uno spartiacque che abbia sentenziato una squadra che non dico abbia mollato, ma quasi”

Dove va ricercata la causa di questi problemi? Società, allenatore, giocatori?
“Quando le cose vanno male è un discorso generale, un insieme. Ripeto, per me la questione Pazzini non è stata gestita bene all’inizio, anche perché lui quando è arrivato ha fatto un contratto di cinque anni con prospettive importanti nonostante l’età e anche un contratto di livello per il giocatore che era. Poi è sceso anche in Serie B e quest’anno, con un contratto fino al 2020, alla prima giornata non parte neanche titolare era indubbio che doveva essere venduto”.

L’anno della retrocessione con Delneri diversi giocatori rimasero anche in B e si rivelarono fondamentali, nel caso l’Hellas dovesse retrocedere quest’anno sarebbe la fine di un corso e di un progetto? Si avverte aria di rifondazione.
“Quando c’è una situazione del genere è normale che si senta questo. Il Verona è sceso in B due anni fa, poi è tornato su subito, quest’anno c’è ancora tempo, basti guardare la salvezza del Crotone l’anno scorso ma quella squadra aveva un’anima. Come anche la SPAL quest’anno che, nonostante le difficoltà, gioca ancora da squadra. Il Verona ha dimostrato di non essere squadra perché c’è modo e modo di perdere. Non saprei da dove potrà ripartire il Verona. La difesa non è stata potenziata, perché anche l’anno scorso il problema era la difesa: è il primo tassello, partendo dal portiere fino alla punta, il blocco centrale lo devi fare bene e poi da lì parti a costruire il supporto che serve alla squadra. Il portiere non so se possa rimanere, non mi fa impazzire. Come centrale ci si è affidati a Caracciolo e ora può andare via. Sono tutte valutazioni che spettano alla società, ma ora come ora diventa difficile anche un cambio d’allenatore: forse doveva essere esonerato prima. Per salvarsi servono tre giocatori forti perché Petković e Matos, buoni giocatori, non sono goleador”.

Con la premessa di una squadra non adatta alla competizione, si sentirebbe di difendere Pecchia?
“La colpa è di tutti. Se alla prima partita ti gioca Bessa finto nueve, con Pazzini che ti ha fatto il capitano ed è stato il protagonista della Serie B, c’è qualcosa che non quadra. Poi vai a Crotone e gioca Fares finto nueve c’è qualcosa che non quadra. Il calcio lo vedo in modo molto semplice, a volte lo complichiamo, c’è un attaccante vero, un altro giovane che è ovviamente Kean, se non gioca Pazzini con il Napoli vuol dire che c’è qualcosa che non quadra. C’è qualcosa che andrebbe spiegato, perché ci ha lasciati un po’ tutti di stucco. Con il Crotone si è arrivati all’apice di un problema serio che sarà difficile da risolvere”.

Sul comunicato della Curva Sud?
“Conosco bene i tifosi: fino al 95′ loro cantano e non ce n’è per nessuno, ma se vanno via venti minuti prima vuol dire che c’è qualcosa che non va e che si è rotto. A distanza di trent’anni la storia è sempre quella sui tifosi del Verona ed è conosciuta in tutta Italia, per il tifo e per l’attaccamento. Ma come si fa a recuperare una partita come quella del Crotone? Lo situazione la conoscono tutti, la dirigenza e l’allenatore: la situazione è compromessa”.

Si aspettava di più anche dalla Fiorentina?
“Ovviamente quando si cambia tanto è normale fare fatica. Sono andati via giocatori importanti, anche venduti bene. La squadra ha cambiato anche dal punto di vista tattico e c’è voluto un po’ per ricompattarsi e ritrovarsi. Questo è un profilo di transizione, si sta cercando di programmare una squadra per i prossimi anni che comprenda il progetto per il nuovo stadio e per la cittadella viola”.

E per questo progetto vede saldo sula panchina viola Stefano Pioli?
“Il profilo della Società è quello. Stefano è un amico e abbiamo giocato assieme a Verona, è un bravo allenatore. Bisognerà poi vedere a giugno anche in base alle scelte della Società sul mercato. Devono capire bene in che direzione va il progetto, evitando nuovi scollamenti fra la proprietà e l’ambiente. La proprietà deve essere presente per far capire che il progetto è avviato, la squadra è unita e coesa e i tifosi l’hanno capito. Bisognerà quindi aspettare la fine del campionato, se dovessero toccare la zona UEFA sarebbe veramente come aver vinto lo scudetto quest’anno”.

Che partita si aspetta, dunque?
“Penso che la Fiorentina farà una gara aggressiva per cercare subito la vittoria, che serve per rialzarsi in classifica. Il Verona dovrà cercare di fare densità, cercare di togliere i giocatori più in forma come Chiesa. L’Hellas dovrà stare accorto per provare poi a ripartire, ma il ritiro non so fino a che punto possa essere buono e soprattutto vedere anche quali giocatori potranno sostituire lo squalificato Zuculini. La questione di Bessa è sintomo della brutta situazione che si è creata. Servirà cattiveria all’Hellas, perché se manca quella la stagione rischia di diventare umiliante. La curva ha fatto capire quello, aldilà dell’esito finale bisogna lottare fino all’ultima giornata”.

Cosa la spinse a lasciare la Fiorentina? C’è chi parla di un Antognoni che la chiudeva in quel ruolo.
“Il dualismo con Giancarlo è stato creato a Firenze. Avevo chiesto io di giocare con più continuità e quindi andai a Perugia in prestito e quando tornai arrivò il Verona. Io, Sacchetti, Bruni siamo cresciuti sotto l’ala di Antognoni, per noi era un punto di riferimento. Magari potevano aspettare perché poi arrivò Pecci a fare il regista, anche se, a dire la verità, io il regista al Verona ho iniziato a farlo al terzo anno. Quindi mi sono un po’ formato con mister Bagnoli, l’anno prima dello scudetto ho iniziato veramente a fare quel ruolo e non più la mezz’ala. Le chiacchiere su Giancarlo sono state messe in quel periodo, ma per me non era affatto così”.

Perché scelse di scendere in B per il Verona?
“Perugia è stato il primo anno lontano da casa, ero anche abbastanza vicino. Quell’anno siamo retrocessi ma è stato un campionato importante per la mia crescita. Quando tornai a Firenze ricordo che mi chiamò Mazzone, che mi aveva fatto esordire alla Fiorentina, e mi voleva all’Ascoli. Mi dissero di aspettare una settimana ma poi non mi chiamò più nessuno, rischiando di rimanere senza squadra. Allora il Direttore Generale della Fiorentina, che all’epoca era Tito Corsi, mi disse di andare a Verona perché stanno cambiando tutto, si sono salvati all’ultima giornata, viene ad allenare Bagnoli che era al Cesena quindi cambia tutto, c’è un progetto importante. Allora io accettai e fu la mia fortuna. Fu il consiglio di una persona saggia. Poi il calcio ti presenta tante opportunità: nel giugno dell’84’, durante la finale d’andata di Coppa Italia con la Roma, a fine primo tempo Falcão mi chiese se volevo andare a giocare con lui alla Roma l’anno dopo. Io ero sotto contratto e all’epoca i contratti si rispettavano, quindi rimasi a Verona, ho vinto lo scudetto e sono andato in Nazionale. Magari fossi andato alla Roma avrei giocato poco e non sarei andato in Nazionale”.

Il rammarico più grande è non essersi fatto notare prima del 1982 per giocare così il Mondiale in Spagna o non aver vinto una di quelle finali di Coppa?
“Coppa Italia, perché i Mondiali poi li ho fatti nel 1986 e anche se non andarono bene fu una cosa bella. Specie la finale del 1983 con quel gol di Platini al 119′ che fu veramente una beffa. Brucia ancora, perché meritavamo di vincerla”.

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