Il difensore gialloblù, intervistato da SportWeek, si è raccontato durante una lunga intervista
È un’intervista lunga e ricca di spunti interessanti quella concessa da Marash Kumbulla ai colleghi di SportWeek, con i quali ha ripercorso la propria carriera, toccando però anche argomenti come il Coronavirus e i modelli di riferimento.
Senza perdere ulteriore tempo, andiamo quindi a vedere le sue principali dichiarazioni.
LA QUARANTENA. «Questa pandemia mi ha insegnato a non dare tutto per scontato e a godere delle piccole cose. Ho potuto dedicare più tempo alla famiglia e ho anche imparato a fare il risotto con il tastasal! Insomma, tutto sommato mi sono divertito, anche se mi mancavano la quotidianità, Greta (la fidanzata, ndr) e gli allenamenti».
SERIO, MA NON TROPPO. «Mi sento ancora un po’ un bambino, nel senso che mi piace svagarmi e divertirmi. E poi faccio ancora i capricci per la PlayStation: ci gioco anche quando Greta richiede la mia attenzione, e lei giustamente si arrabbia!».
I PRIMI CALCI. «Quando avevo quattro anni mio padre mi iscrisse alla scuola calcio di Peschiera. Voleva trasmettermi la sua passione e bisogna dire che gli è andata bene (ride, ndr)! Anch’io ero contento di andare agli allenamenti, e a dire il vero lo sono tuttora: per me l’allenamento è tutto. Il Verona? Penso che ogni giovane calciatore sogni di giocare per la squadra della propria città: io ho fatto un provino all’Hellas e mi hanno preso».
GLI SFIZI. «Con il primo stipendio da calciatore ho portato fuori a cena la mia famiglia: non sono uno spendaccione, mi limito a togliermi qualche sfizio come per esempio qualche capo d’abbigliamento o qualche videogioco…».
LA SCUOLA. «Il calcio non mi ha impedito di proseguire gli studi: ora sono all’ultimo anno di amministrazione finanza e marketing, la vecchia ragioneria. L’istituto che frequento mi aiuta molto e mi ha sempre dato la possibilità di studiare da casa, anche prima del lockdown».
IL RUOLO. «Mi diverte fare il difensore: mi piacciono i duelli, anche aerei, e il contatto fisico. E poi non c’è niente di più appagante di un salvataggio da ultimo uomo!».
I PUNTI DI FORZA… «Quando gioco sono molto concentrato, freddo e determinato. Questi sono tutti aspetti del mio carattere, me ne accorgo quando per esempio gioco alla PlayStation o a carte con gli amici: loro se vincono esultano e se perdono si disperano, io invece non perdo mai la testa».
… E I PUNTI DEBOLI. «Credo che il mio più grande limite sia il “piede debole”: devo migliorare con il sinistro. A volte poi mi è capitato di pensare troppo in fase d’impostazione, facendomi chiudere la linea del passaggio: questo comunque non mi è capitato spesso…».
JURIC. «Mister Juric è un martello, un gran lavoratore, e sa stimolare i giocatori per farli rendere al meglio. A me ha dato tanto, mi ha fatto ritrovare il furore agonistico che l’anno scorso, a causa degli infortuni, avevo un po’ perso».
I COMPAGNI DI SQUADRA. «In allenamento Pazzini mi dà moltissimi consigli su come fermare gli attaccanti: per fare un esempio, parlando del contro-movimento, mi ha insegnato a non star loro troppo vicino per evitare che fintino e mi scappino via. Il giocatore che più mi ha stupito dal punto di vista tecnico? Osservandolo da vicino, sono rimasto».
I MODELLI. «Sin da piccolo ho molto ammirato Chiellini per la sua foga agonistica. I tre difensori più forti oggi? Van Dijk la sua forza fisica, Sergio Ramos per l’esperienza e la grinta e De Vrij per la capacità di lettura delle azioni».
L’ALBANIA. «Ho scelto di giocare con la Nazionale albanese perché tutta la mia famiglia lo è e anch’io mi sento albanese. I ragazzi albanesi hanno una mentalità differente? È una questione di stimoli: generalmente vengono da situazioni più difficili di quelle in cui crescono i ragazzi italiani, e per uscirne servono una fame e una voglia particolari».