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Simeone: “A Verona ho trovato equilibrio. Le critiche mi hanno dato la forza per diventare ciò che sono oggi”

Le dichiarazioni dell’attaccante argentino dopo la prima metà di stagione in maglia gialloblù

L’attaccante dell’Hellas Verona, Giovanni Simeone ha rilasciato una lunga intervista a Sportweek. Queste alcune delle sue dichiarazioni:

CASA. “Qui a Verona il primo mese e mezzo abbiamo abitato in centro. È bellissimo e quando abbiamo deciso di lasciarlo, ci abbiamo pensato parecchio. Però il frastuono delle macchine, l’aprire la porta di casa e trovarsi davanti un altro edificio…Mi piace molto di più vivere in un posto così. Anche a Cagliari stavo isolato, proprio sul mare”. 

VERONA. “Qui mi sono sentito bene fin dal primo giorno. È un gruppo di ragazzi semplici, in cui non ci sono differenze tra chi gioca di più e chi meno. È una cosa difficile da trovare nel calcio. Prima ancora sento di identificarmi nella filosofia dell’Hellas, che quella di dare tutto. Nessuno ci chiede di fare quattro o dieci gol, ma soltanto di lasciare in ogni allenamento e in ogni partita tutto quello che abbiamo dentro. L’Europa? No, dobbiamo solo pensare a salvarci“.

PREPARAZIONE FISICA. “Di me si è sempre detto che sono uno che corre tanto, ma io lo faccio perché mi dà forza. Corro perché mi carica rubare la palla all’avversario o aiutare il compagno a chiudere una linea di passaggio, oppure facendogli spazio per attaccare la porta. È così che riesco a fare gol: dando agli altri, do tanto a me stesso. Prendo forza”.

SIMEONE E IL VERONA. “Io ho trovato il mio equilibrio per lavorare molto di più . Guardo tutte le partite delle squadre che andiamo ad affrontare, come marcano i difensori, come si piazzano i portieri, e poi prendo nota su questo quaderno (classico quaderno da scuola con copertina plastificata rossa: in testa alla pagina è scritto in stampatello il nome della squadra, poi una serie di annotazioni appuntate con penne dal colore diverso a seconda del ruolo di avversari e schemi difensivi; ndr). Studio ogni dettaglio per capire come far male alle difese. È come se un allenatore mi spiegasse i movimenti da fare. Solo che l’allenatore sono io. Questa cosa prima non la facevo, oggi sono molto più focalizzato sul mio lavoro, ma non penso mai a quanti gol devo fare se riuscirò ad andare in doppia cifra. Quello che mi serve sapere è solo contro chi gioco, cosa devo fare e poi lasciare tutto in campo. Questo è l’equilibrio di cui parlo e che ho raggiunto anche grazie alla meditazione”. 

CRITICHE. “Gente che  ha pensato che fossi scarso, ed è successo fino all’anno scorso. Ho sentito tante cose che mi hanno fatto molto male, ma che mi hanno dato la forza per diventare ciò che sono oggi. Ma non cerco rivincite”.

PRESENTE.Mi sono trovato nel posto giusto al momento giusto. Sto facendo molto bene, ma non ho raggiunto il mio tetto. Ma poi, il tetto, il limite qual è? Non esiste, è un pensiero, un concetto stretto. Puoi andare in alto quanto vuoi, dipende solo da te. Il sogno di ogni bambino è giocare la Champions o vincere il Mondiale, ma oggi sono così felice qua che non ho bisogno di pensare ad altro”.

TUDOR. “Ogni giorno che vado ad allenarmi penso di andare nel posto di più bello del mondo. Tudor è capace di dire cose giuste al momento opportuno. Ti convince che puoi fare tutto ciò che ti chiede e si aspetta da te. Esempio: il gol che ho fatto alla Juve tirando da fuori area, lo avevamo provato il giorno prima: Casale viene su, Lazovic mi dà la palla e io tiro. E Tudor: “Giovanni, tu fai questo movimento per ricevere palla. E dopo ragazzi, tranquilli: è gol”. È andata così”.

CRESPO.È stato il centravanti con più varietà di movimenti dentro l’area. Normalmente, un attaccante fa due movimenti dentro l’area. Lui ne faceva tre”. 

ATTACCANTI.Uno è Benzema. Riesce a fare tutto e invecchiando migliora. Entra nel circuito di del gioco, viene incontro ai compagni, si allarga. L’altro è Lewandowski, un animale da area di rigore. Ha un solo pensiero: la metto dentro. È difficile avere per tanti anni una simile continuità”.

FUTURO ALL’ATLETICO.Sono un tifosi a quella squadra, ma a che serve pensarci?”.

SOPRANNOME CHOLITO.Mi piace tantissimo. Prima no, sentivo che mi chiamavano così per una specie di omaggio a mio padre. Ora intuisco che si riferiscono a me, all’uomo che sono. Sento che il Cholito è Giovanni, non il figlio di Diego”.

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