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Domenghini: “Il calcio va giocato con il pubblico. L’Hellas? Ha spirito e organizzazione”

Il doppio ex di Verona-Cagliari ha scambiato due chiacchiere con i colleghi de L’Arena a pochi giorni dalla sfida del Bentegodi

Assoluta leggenda del Cagliari, Angelo Domenghini arrivò a Verona verso fine carriera, disputando in gialloblù una trentina di partite tra Serie A, Serie B e Coppa Italia.

Raggiunto da L’Arena, Domingo ha quindi parlato della sfida di sabato, ma anche della ripresa e di molto altro, regalando pure un simpatico (per Bearzot un po’ meno) retroscena sul Mondiale di Messico ’70: di seguito, dunque, le sue principali dichiarazioni.

LA RIPRESA. «Il calcio andava fermato, decretando scudetto e retrocessioni in base alla classifica di quel momento. Abbiamo vissuto un dramma, non ne siamo ancora fuori e ci sono ancora morti: questo proprio non mi va giù. Si riparte solo a causa del lato economico, quindi forse bisognerebbe rivedere qualcosa sotto questo aspetto».

LE PORTE CHIUSE. «Questo sport va giocato con il pubblico, senza non è vero calcio. Visto che in campo tra giocatori e addetti ai lavori ci sono più di un centinaio di persone, un numero secondo me molto alto, tanto valeva riaprire anche ai tifosi…».

LULÙ E L’ADDIO. «Quando arrivai a Verona conobbi una persona speciale, Franco Bergamaschi: un ragazzo dal cuore d’oro, allenarsi con lui era un piacere. Il mio addio? Dopo essere tornati in Serie A ci furono delle incomprensioni e quindi me ne andai».

VERONA-CAGLIARI. «L’Hellas sta giocando un buon calcio ed è una squadra con grande spirito e organizzazione. Il Cagliari invece, da quando si è iniziato a parlare di Europa, ha iniziato a faticare e ha avuto un calo psico-fisico pazzesco. I giocatori ora hanno perso un po’ di entusiasmo: sarà dura per loro al Bentegodi».

MESSICO ’70. «Ai supplementari di Italia-Germania 4-3 successe di tutto, ma la vera gara che dovevamo vincere era quella con il Brasile: giocare una finale di un Mondiale capita una volta nella vita. Un aneddoto ma raccontato? Quando tornammo in albergo dopo la vittoria sulla Germania Ovest buttai Bearzot, allora collaboratore del CT Valcareggi, in piscina. Lui annaspava e pensavo scherzasse, ma per fortuna uno dei massaggiatori si buttò in acqua per salvarlo: Bearzot non sapeva nuotare…».

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