
Il tecnico gialloblù si è presentato durante la conferenza odierna
Giornata di presentazioni in casa Verona per Gabriele Cioffi: nel primo pomeriggio il nuovo allenatore gialloblù ha preso la parola in sala stampa, toccando diversi argomenti interessatni.
Di seguito, dunque, le sue principali dichiarazioni.
LO STAFF E LA FILOSOFIA. «Ringrazio il presidente Setti e il direttore. Sono stato scelto e fortemente voluto. Mi hanno permesso di portare uno staff che ci permetterà di fare un buon lavoro: vengo a Verona con Pinzi come mio secondo, Matteo Cioffi come supporto metodologico, Antonio Bovenzi come preparatore atletico, Vincenzo Manzi per l’analisi dati fisici e specifiche, Enrico Iodice come analista. L’obiettivo che mi è stato dato è chiaro ed è la salvezza. Sappiamo bene che ci vuole grande umiltà, idee chiare e lucidità nella gestione dei momenti. Credo che non mi discosterò dalle linee guida date da Juric negli anni passati, poi in base anche alla direzione del vento in cui spingerà il mercato, ci adatteremo. L’idea base e i principi saranno gli stessi: squadra aggressiva e che gioca per vincere tutte le partite. Mio fratello nello staff? L’ho portato qui perché è una persona preparata. Non c’è spazio per parenti, fratelli e amici se non si hanno competenze».
LA SCELTA. «Verona è una sfida, una piazza vera. Non sto dicendo che Udine non lo sia, ma Verona storicamente è pesante in termini di affetto e calore. La sfida è cercare di eguagliare quanto fatto di buono da Juric e Tudor. Il motivo della mia scelta, oltre a essere stato fortemente voluto, è la sfida perché senza di essa lo sport perde di pathos. Ho detto ai ragazzi che quello che hanno fatto non basta, ci vuole di più, con grande umiltà. So che sto per affrontare una salita bella ripida, ma dobbiamo tenere la testa bassa e camminare».
CONTINUITÀ. «Darò continuità con le mie idee a quello che è il DNA che non ha un allenatore in particolare, ma la città: Verona insegna che ha un DNA latente tirato fuori da Juric, Bagnoli, Mandorlini e Prandelli. È una piazza morbosa e che vuole veder lavorare. Da avversario ho sempre avuto questa sensazione. Con il Mantova quando entravo in questo campo mi sentivo soffocare, mi sembrava di entrare in un’arena. Verona è la piazza giusta per me, devo solo dimostrarlo. Basta vincere le partite e torna tutto».
LA BATTUTA DI MARROCCU. «Il motto del direttore è “dividi et impera”: non glielo permetterò perché mio figlio Tancredi ha otto anni e non può portarmelo via. È una battuta perché nelle pause che ci prendevamo in famiglia, lui prendeva la Gazzetta e mi diceva: “Babbo oggi prendiamo questo, oggi il direttore ti ha preso quest’altro”. Allora gli ho mandato una foto con lui che legge ancora più attentamente di me il giornale».
LA SQUADRA. «Avere una squadra fisica non significa avere giocatori di 1,90, ma essere intensi e avere sacrificio e volontà. Non serve solo fisico, se no si gioca a rugby. La squadra deve sporcarsi e vendere cara la pelle. Lo schieramento? Manterrò la fisionomia attuale, ma in maniera diversa, con linee di aggressione dalle quali poi andremo uomo contro uomo. Personalmente l’uomo contro uomo a tutto campo non mi appartiene. Quanto spettacolare sia il gioco non lo posso garantire, ma mi piace un calcio propositivo: si va in avanti e si cerca di arrivare in area avversaria con equilibrio. Non sono una persona da all-in».
IL MONDIALE. «La pausa per il Mondiale inciderà quanto noi le permetteremo di incidere. Abbiamo tutto il tempo per programmare: credo che per le “grandi”, che avranno dieci nazionali per squadra, sarà peggio. Per noi si tratta di gestire il pre-campionato in corso e di correggere il tiro nella sosta mondiale. È una stagione atipica, ma cerchiamo di renderla atipica in senso positivo».
IL CALCIOMERCATO. «Il mercato ha portato a fare determinati acquisti come quelli di Djuric e Piccoli. Sono state fatte delle richieste che andavano a compensare delle qualità che mancavano al Verona, come una punta fisica di riferimento che facesse respirare di più la squadra. Davanti ci sarà grande competizione e bisognerà correre. La cessione di Cancellieri? A me piaceva molto: grande fisicità e attacco dello spazio partendo dalla fascia. Ha espresso poco qui, ma per la sostenibilità abbiamo fatto questa questa scelta. Nel calcio di oggi si parla tanto di sostenibilità, ma poi bisogna agire in tal senso. Certe società non stanno in piedi se non pagano gli stipendi, e per pagarli serve vendere alcuni dei giocatori che fanno bene. La storia del Verona, di Setti e Marroccu dimostra che a chi esce poi entra. Ilic era un perfetto sconosciuto, così come Caprari aveva toppato. Non dobbiamo avere alibi, ma è chiaro che in campo entrano i calciatori che vengono indirizzati da quella che è una mentalità della società e della gestione tecnica. Se qualcuno andrà via verrà sostituito da uno altrettanto bravo o che potrà fare meglio, quindi sarà così anche per Cancellieri. Qualche giocatore dell’Udinese? Sì, lo prenderei perché mi ritroverei in una comfort zone, ma i valori che troverò qua me la daranno lo stesso».
SETTI. «Il presidente è carico e ha voglia di fare. A Carpi e Mantova ho ricordi bellissimi, della mia vita e non solo della mia carriera. Sono zone che sento mie. Setti vuole vincere le partite, come tutti. Ci proveremo con intelligenza e sacrificio. Un presidente che resta in Serie A così tanto è un presidente con la “p” maiuscola. L’ho ritrovato più maturo (i due si sono incrociati a Carpi quando Cioffi era giocatore, ndr), ma quando hai il fuoco dentro invecchi solo all’esterno”.
IL RAPPORTO CON MARROCCU. «In questa fase con Marroccu siamo nel periodo dell’innamoramento, potremmo fare qualsiasi cosa e andrebbe bene. Io e lui ci troveremo sempre, ma il calcio è semplice: se vinci le partite sei bravo, se non le vinci vai a casa».
I GIOVANI. «Anche i giovani rientrano nel concetto si sostenibilità di un club. Il Verona porta in prima squadra giocatori dalla Primavera e li fa diventare plusvalenze importanti. Ci sono giocatori di prospettiva: Coppola, Terracciano, Amione che rientra. I portieri non sono l’unica certezza, ce ne sono di altre. Finché i calciatori non vengono venduti si sta a Verona per giocare e salvarsi».
LAVORARE ALL’ESTERO. «Quello che sono ora io come persona e allenatore è il frutto del percorso che ho fatto e sarà così anche tra dieci anni. Non so se un allenatore debba formarsi all’estero. Io all’inizio sono stato costretto perché il telefono non squillava e io non sono un passivo: ho preso la valigia e sono andato (Emirati Arabi e Inghilterra, ndr). Per me è stato formativo, ti approcci in maniera diversa ai problemi. Il percorso è stata una delle chiavi che ha permesso a me e allo staff di fare bene a Udine, dove ci sono tanti calciatori stranieri e culture diverse».
