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Di Napoli a L’Arena: “Ero già del Verona, ma l’Inter…”

Il “quasi-doppio ex” di Hellas-Venezia ha scambiato due parole con i colleghi del quotidiano veronese in vista del derby di stasera

Un “quasi-doppio ex” dell’incontro di stasera: potremmo definire così Arturo Di Napoli, giocatore con un passato al Venezia ma che nell’estate del 1999 fu vicinissimo a vestire la maglia del Verona.

Di questo e di molto altro ha parlato l’attuale allenatore del Football Club Cologno (Prima Categoria lombarda) ai colleghi de L’Arena, che l’hanno raggiunto in occasione del derby in programma alle 21 di oggi al Bentegodi.

Di seguito, dunque, le principali dichiarazioni rilasciate dall’ex attaccante al quotidiano veronese.

LA TRATTATIVA SALTATA. «C’era l’accordo su tutto, poi alle due di notte del giorno prima della firma mi chiamò il mio agente dicendomi che invece dovevo andare a Piacenza. Esitai un attimo, perché io volevo il Verona. Parliamo di una piazza che non può non affascinare un calciatore: il boato della curva, il clima di tutto il Bentegodi… Mi sentivo già dell’Hellas e avevo già parlato con Prandelli, ma ero dell’Inter. E loro avevano altre idee».

QUELLA SERIE B. «Era un’altra categoria rispetto a ora. C’erano giocatori straordinari, come per esempio Zola o Pippo Maniero, mio compagno d’attacco a Venezia. All’epoca era una specie di Serie A2».

PAZZINI. «Per me il Pazzo è il centravanti ideale: segna e sa far reparto da solo. Da qui alla fine sarà un’arma micidiale per il Verona».

DUE GRANDI “DELUSE”? «Innanzitutto devo fare una premessa: Verona merita la Serie A. Detto questo, oggi nel calcio o punti sui giovani oppure, se decidi di prendere giocatori già “pronti”, il dispendio di risorse economiche è grande. Il Verona ha una rosa competitiva e infatti è lì in alto. Il Venezia invece si è presentato con le tante ambizioni di Tacopina, ma il campo ha dato un verdetto decisamente al di sotto delle aspettative».

FONTI DI ISPIRAZIONE. «Molto mi ha lasciato Prandelli, con la tattica e la voglia di avere sempre la palla fra i piedi. Ho anche preso tanto da Ventura, ed è stato un piacere aver avuto Sonetti, così come Boskov, uno che ha sempre preso il calcio per quel che è: un gioco».

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