Il vulcanico direttore di Libero ancora una volta si schiera fuori dal coro
In mezzo alla condanna unanime arrivata nei confronti dell’ormai celebre striscione pre-Napoli, si leva una voce fuori dal coro: è quella di Vittorio Feltri, il quale attraverso le pagine di Libero ha cercato di minimizzare l’accaduto, riconducendolo a semplice (per quanto inadatto al periodo) umorismo.
«La guerra – si legge infatti sull’edizione odierna del quotidiano – ha bombardato pure il calcio e il mondo dello spettacolo. Da quando la Russia si è scatenata su Kiev e dintorni è vietato scherzare anche in Italia, il Paese di Pulcinella, di Arlecchino e di Pasquino. L’umorismo, che di solito è abbastanza greve e usa un linguaggio popolare, quindi autentico, è stato bandito perché non rispetta il politicamente corretto. Perfino lo sport, il football in particolare, è soggetto alla censura più bieca. Domenica per esempio a Verona, dove il tifo per la squadra locale è spietato, è stato esposto, in occasione della partita col Napoli, uno striscione forse inopportuno ma innocuo nella sua volgarità in quanto per gioco proponeva le coordinate (fasulle) onde consentire ai missili di colpire la città partenopea».
Il vulcanico giornalista, da sempre spesso controcorrente e sopra le righe, riduce insomma lo striscione incriminato a un pesante sfottò tra tifosi, un gesto inopportuno ma innocuo.
La seconda parte dell’editoriale si concentra dunque sulle reazioni dei giorni successivi, in particolare su quelle della stampa, una reprimenda da Feltri giudicata esagerata:
«L’autore della buffonata non merita certo il Nobel del buon gusto, ma conoscendo l’abitudine delle tifoserie a pescare nella goliardia per sfottere i sostenitori delle compagini avversarie, non mi pare che l’episodio meritasse la seriosa reprimenda di tutti i giornali, che si sono lanciati in una campagna denigratoria dai toni esagerati verso il popolo della città veneta. Neanche si trattasse di gentaglia davvero pronta a premere il grilletto contro i napoletani. Se l’anonimo estensore della frase incriminata ha usato termini eccessivi, chi l’ha condannata quasi fosse una autentica minaccia si è prodotto in analoga esagerazione. Al tifo, che è una malattia, e lo dice la parola stessa, bisogna concedere attenuanti generiche perfino quando esaspera i toni. Questo mi pare evidente. Rammento che anni fa, ancora a Verona, mentre si disputava un match contro i vesuviani, comparve in tribuna un cartello: “Voi napoletani non vi siete mai lavati”. Frase giocosa per quanto offensiva. Ebbene nella competizione di ritorno, al San Paolo, fu sventolato un cartello assai spiritoso, a dimostrazione che i terroni sono svegli e arguti: “Giulietta è una zoccola”. Stupido chi non si è sbellicato dal ridere».
La conclusione del direttore di Libero? «I motteggi legati alla passione calcistica non vanno presi sul serio, bensì giudicati per la loro carica comica. Smettiamola con le battaglie, compresa quella in atto contro le parole. C’è di più».
Vero