L’ex allenatore gialloblù è tornato a parlare dell’emergenza Coronavirus e dei suoi effetti sul mondo del calcio e non solo
Per sicurezza, meglio aspettare prima di ripartire con i campionati: a parlare è Cesare Prandelli, il quale a Il Quotidiano di Puglia ha parlato dell’emergenza Coronavirus e degli effetti che questa avrà non solo sul calcio, ma anche nella vita di tutti i giorni.
Di seguito, dunque, le sue principali dichiarazioni.
SERVE CALMA. «Tira ormai aria di ripresa e c’è tanta voglia di ricominciare, ma ho la sensazione che si voglia fare in fretta: speriamo che non si sbaglino i tempi. Gli scienziati predicano la calma, e non si può andare in campo con la paura addosso: il calcio è gioia e liberazione, quindi io penso che si possa aspettare ancora un po’ per capire meglio in che direzione si muova il virus».
TANTI DUBBI. «Tutto mi sembra terribilmente complicato, ci sono tutta una serie di interrogativi: penso per esempio alle indagini mediche sanitarie che riguardano non solo i calciatori, ma medici, fisioterapisti, accompagnatori e tutti coloro che ruotano intorno al calcio, penso al bisogno di tanti tamponi, penso al fatto che solo una decina di squadre dispone di un proprio centro sportivo, penso a che cosa può accadere se, una volta partiti, qualcuno si scopre positivo… Sarebbe come tornare al punto di partenza, tutto si farebbe più difficile! Le porte chiuse? Mettono tristezza, ma forse sono la soluzione migliore».
IL POST-CRISI. «Il Paese ha subito uno tsunami, un dramma enorme: ci riprenderemo, ma dovremo rivedere le priorità. Servirà avere più rispetto per la natura, rilanciare ricerca, gli ospedali, le scuole. Dovremo anche rivedere l’idea e la logica di un calcio che andava troppo veloce, così come la vita. Dopo il Covid bisognerà riportare l’uomo al centro, e il calcio potrà recuperare il suo ruolo più vero».